La ciurma si è trovata nel primo pomeriggio nella nuova, immensa Marina di Airlie Beach. Davanti a noi, due notti nelle isole, si dice, le più belle dell’Australia.

Il nostro mezzo di trasporto è una barca a vela, costruita 25 anni fa come barca da regata, lunga 15 metri. Oggi è una gentile signora, che scorazza piccoli gruppi di turisti nelle isole di Withsunday. Gentile e, all’interno, decadente signora, sia per la sua età sia per una manutenzione non sempre al massimo livello. Ma non importa. Siamo in 12 persone (prevalentemente tedeschi, ma anche olandesi, un francese e un’irlandese) più due persone di equipaggio: il mozzo, cuoco, nostra guida e tuttofare, Bjiorn (un misto di Canada, Norvegia e Svizzera nelle vene) e Marc, il capitano (che generalmente fa regate, ma in questi giorni aiuta il proprietario della barca, assente perché in viaggio di nozze).

Lasciamo Airlie Beach puntuali e appena entriamo in mare aperto, la temperatura scende. Ci sediamo tutti su un lato, la barca si piega e prende velocità. Seduti, con le gambe a mare e frequenti spruzzi di acqua di mare (più calda dell’aria) facciamo conoscenza. I sei tedeschi sono insegnanti,  la ragazza tedesca, viaggiatrice solitaria come me, è educatrice di bambini con disagi (si è presa un anno sabbatico per ritrovare energia dalla durezza del suo lavoro), il ragazzo francese, marocchino di origine, si è buttato nel walkabout perché ha aperto un’azienda di recruting proprio quando è scoppiata la crisi e allora ha deciso di staccare per un po’, i due olandesi sono amici, lui lavora a Sydney, lei è venuta a trovarlo per le vacanze e, infine, la ragazza irlandese è l’unica della quale so pochissimo, è la contemplativa e solitaria del gruppo, con il viso immerso in un romanzo di Ohran Pamuk.

Ci avviciniamo alle isole e attraversiamo il Withsunday Passage, un canale che dal mare aperto porta ad Airlie Beach, lo stesso che accolse nel 1770 le navi del capitano Cook lo “scopritore” dell’Australia.

Dopo tre ore di navigazione a vele spiegate, ci fermiamo in una baia. E’ quasi buio, e dobbiamo sistemarci per la cena e per la notte. Quando ormai non si vede più nulla, Bjorn ci porta stuzzichini per un aperitivo, che divoriamo infreddoliti e completamente bagnati, ma contenti.

Siamo in 14 quindi dormiamo davvero ammassati e il “mozzo”, con il tradizionale sacco outdoor dorme in pozzetto.

Il risveglio è stupendo. Esco subito per vedermi il mare e lo trovo un po’ mosso. Sono le 7 e il sole è già alto. La luce è splendida. Eppure, guardandomi intorno rimango colpita. Le isole sono tutte montagnose, simili a Magnetic Island, ricche di vegetazione con sporadiche spiagge. Le immagini, invece, che avevo visto, erano diverse. Mi immaginavo qualcosa di diverso …

Lentamente si svegliano tutti, facciamo colazione, laviamo le tazze e pronti, si riparte. La navigazione questa volta è breve. Arriviamo ad un isola, simile alle altre, e con il gommone veniamo portati a terra. Il programma prevede una camminata sull’isola, lungo un sentiero che l’attraversa. La barca verrà a riprenderci dall’altra parte. Il sentiero è leggero e breve e ci porta ad un “lookout”, una terrazza che si affaccia sulla magia pura. Davanti a noi si apre un paesaggio di una bellezza indescrivibile. I colori predominanti sono il bianco, il turchese ed il blu.

Ci troviamo di fronte ad altre isole e piccoli fiordi, con l’acqua turchese, che sembra colorata, tinta di turchese, ma soprattutto la sabbia è bianca come la neve. Non solo. Nel mare, dall’alto sembra di vedere striature bianche, come quando il latte sul cappuccino viene riversato creando dei baffi, delle scie, solo che invece del caffè sotto c’è un mare turchese. È come se della crema fosse fatta scivolare a pennellate  nel mare. Scendiamo di fretta per poterci camminare sopra. Sembra di trovarsi in un mondo irreale. La sabbia è talmente sottile che sembra di camminare sullo zucchero a velo. La spiaggia è lunga, candida, mossa. Un paradiso vero, l’eden.

Questo è un altro luogo sacro agli aborigeni. Qui gli anziani venivano a morire. E posso immaginare perché. Sembra il ponte verso la bellezza assoluta, la pace immensa, la perfezione. Camminiamo su questa sabbia bianca, entriamo in acqua, raggiungiamo le secche bianche abbaglianti in mezzo al mare turchese, io mi sdraio sul bianco, mi metto a peso morto in acqua, esco, striscio i piedi sullo zucchero a velo. Aggiriamo la nostra spiaggia e alcuni sassi neri, dalle forme quasi umane, arricchiscono i contrasti.

E il bello è che siamo praticamente soli perché il gruppo che ci ha preceduto se ne va. Soli significa camminare su una sabbia senza tracce, vergine. È come essere immersi in una bolla onirica.

L’ultima ora la passiamo semplicemente sdraiati a chiacchierare, abbagliati dai colori che ci circondano. Io ogni tanto mi butto in acqua, perché, anche se fredda, voglio immergermi il più possibile dentro questo incanto e farne parte.

Il gommone viene di nuovo a prenderci e saliamo a bordo. Bjorn ha preparato caffè per tutti. Siamo quasi muti, mentre beviamo il tazzone di acqua scura, muti per l’incanto che abbiamo potuto vivere.

La barca si rimette in moto e andiamo a fare snorkeling. Indossiamo tutti le mute leggere antimedusa, mettiamo la maschera, prendiamo il tubo e “puffff”, tutti in acqua. Io ho comprato una macchinetta fotografica usa e getta e scatto 24 foto in 10 minuti. Sotto, il mare si ripresenta il paesaggio marino di Cairns. Sbaglio a fare tutte queste foto, perché non sapevo ancora che il tardo pomeriggio mi avrebbe regalato visioni ancora più straordinarie.

Dopo pranzo, infatti, ci dirigiamo verso uno dei punti più battuti per lo snorkeling. Prima di arrivare, tuttavia, vediamo spruzzi immensi all’orizzonte. Le balene! Le cerchiamo, ma sono velocissime sott’acqua e poi una, abbastanza vicina a noi, ci regala uno sbuffo altissimo e la meravigliosa coda nera che esce dall’acqua.

Per il secondo snorkeling della giornata ci fermiamo alle 17.00. Ormai non c’è nessuno. Noi abbiamo freddo e le tute anti medusa sono fredde e umide, ma non possiamo rinunciare. Di nuovo, come se andassimo a sciare in una giornata nevosa e fredda. Ringrazio me stessa per non aver avuto “paura del freddo”, perché lo spettacolo che mi si apre sott’acqua, appena ci butto la testa, è uguale a “tutti i coralli visti fino ad ora … alla potenza”. I colori sono sempre quelli bellissimi dai gialli, ai verdi ai blu, ai viola, al color lavanda. Qui è tutto più grande, ed è continuo. Non c’è pausa. Nuotiamo sopra un immenso e colorato tappeto di coralli. Non solo. Nuotiamo insieme ai pesci. Io mi intrufolo in un piccolo branco di pesci zebra e davvero, non scherzo, nuoto insieme a loro. Vedo il pesce pagliaccio, coloratissimo e un branco di “Dori”, la pesciolina amica di Nemo. Ci sono anche piccole meduse, ma noi siamo protetti. L’acqua è leggermente torbida per il plancton che galleggia. I coralli hanno dimensioni enormi. Uno, giallo fosforescente, sembra un enorme cervello. È grande come una Cinquecento. Non fosse per il sole che ormai sta scendendo, non uscirei più dall’acqua.

Risaliamo in barca e siamo tutti talmente felici per ciò che abbiamo visto e per la giornata e ci sentiamo quasi amici di sempre. La serata, infatti, passa in grande allegria, con musica da farti ballare, con un anticipo di festa di compleanno del ragazzo olandese … Andiamo a letto tardi, questa volta, stanchi morti e pieni di immagini straordinarie nei nostri occhi.

Purtroppo il risveglio del secondo giorno ci dice una sola cosa: si torna ad Airlie Beach. Vorremmo tutti continuare, immaginiamo di ammutinare la barca e continuare la crociera …

L’unica vera soddisfazione del viaggio di ritorno è il vento. Raggiungiamo i nove piedi e navighiamo costantemente per tre ore. Come colonna sonora c’è il mio Ipod che tra sounds brasiliani, argentini e italiani ci accompagna verso la fine del viaggio.

Ad un certo punto lungo la navigazione un catamarano sembra venirci quasi addosso. O forse siamo noi che stiamo andando verso la collisione. Il capitano sorride. Dal catamarano, piegano all’ultimo istante e noi, sotto, a ridosso  viriamo. Noi assistiamo alla scena pensando a quei pazzi, ma scopriamo poi che i pazzi siamo noi. A guidare il catamarano c’è un amico del nostro capitano che al nostro passaggio ravvicinato ci fa vedere un pesce enorme, appena pescato e noi battiamo le mani, più che per complimentarci per lui, credo, come senso liberatorio per la collisione scampata. Marc, il nostro capitano se la ride, dietro gli occhiali scuri.

Man mano che Airlie Beach si avvicina, la tristezza ci prende. È uno strazio da questo punto di vista questa vacanza. Oltre a tanti incontri, ci sono anche continui commiati, saluti, abbracci, scambi di indirizzi. È incredibile come solo in due giornate si riesca a creare una tale armonia e come la saudade ci avvolga tutti.

Oggi, per fortuna è dilatata. Questa sera ci troviamo a cena, esclusi gli insegnanti tedeschi, e poi di nuovo, ognuno con il suo viaggio, per la sua strada.

Io parto questa notte per 1770, il paese che ha preso il nome dall’anno dell’approdo in Australia del Capitano Cook.